Le castraùre veneziane, cibo ghiotto per fini intenditori

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Le castraùre veneziane, cibo ghiotto per fini intenditori

Le affrontiamo leggendo da un piccolo glossario veneziano alla voce “castraùra”: piccoli carciofi primaverili, raccolti precocemente per dare più forza al resto della pianta.

Sin qui tutto bene: ma parlare di “castraure”, botoli, carciofi, senza dimenticare i “fondi” significa anche riandare, come quasi sempre accade, a tempi lontanissimi, nonostante questi prodotti stiano vivendo in epoca recente una loro, peraltro meritata, fortuna erboristica, salutistica e gastronomica, dove, in quest’ultima, si utilizzano i fiori.

Carciofo-The Liquid PressIl carciofo, e prima ancora, per intervento dell’uomo, la preziosa “castraura” (letteralmente, castrata, cioè tagliata accuratamente dalla pianta di carciofo, con un coltello particolare, affilatissimo a lama diritta, inventato dai veneziani) ha origini antichissime.

Nella mitologia greca rappresentava infatti l’incarnazione di una ninfa cara a Giove, Cynara, dalla quale deriva il nome scientifico Cynara scolimusCynara era bellissima e non poteva certo sfuggire a Giove, che se ne invaghì perdutamente. Ma il carattere volubile e capriccioso provocò la gelosia di Giove, che esasperato la tramutò in un ortaggio del tutto particolare: il colore del carciofo ricorda quello degli occhi della ninfa e le spine quelle pene, che tanto fecero patire il cuore geloso del padre degli Dei. All’interno però si trova un cuore tenero e dolcissimo, quello che aveva incantato Giove, e ben lo sanno coloro che per professione o per diletto si cimentano con la cucina.

Ecco spiegata, soltanto per accenni l’origine mitologica del carciofo, che cresce spontaneo in tutta l’Europa mediterranea, particolarmente nelle grandi isole e nell’Italia meridionale, entrato nelle coltivazioni orticole per merito degli italiani che, nel XV secolo, lo coltivarono in Sicilia, Campania e Toscana.

Castraùre-The liquid PressPiù precisamente l’arrivo del carciofo a Firenze è documentato sin dal 1466 e nella Serenissima dal 1473, innescando particolarmente la fortuna di un’isola che ancora oggi offre al mercato un prodotto di “nicchia”, come sono le “castraure”, i “botoli”, oltrechè i carciofi nostrani.

“Fra le isole che fanno argine alla Laguna di Venezia, si ricorda quella di Sant’Erasmo con belle vigne e giardini, da’ quali si somministra alla Metropoli quantità di erbaggi e frutti perfetti…”.

Con queste parole, Coronelli, nel suo “Isolario dell’atlante Veneto” edito nel 1696 a Venezia decretava l’isola come l’orto di Venezia in cui si producono verdure (dalle “castraure” alle “sparesee”) che sono molto ricercate e richieste al mercato di Rialto per la bontà del loro sapore, dovuto alla particolarità del terreno: in parte sabbioso ed in parte cretoso, battuto anche dal vento e dalla salsedine che ne definisce un mix di profumo e morbidezza del tutto particolari.

La produzione della regione Veneto, coincide di fatto con quella della provincia di Venezia (30 ettari per 1.500 quintali), proprio perché le isole veneziane, anche se non possono vantare notevoli produzioni (0,03% della produzione totale) sono l’unico territorio della nostra regione dove è praticata la coltivazione del carciofo, l’area più settentrionale della coltura.

Vediamo un poco più nel dettaglio queste “castraure”, dall’intenso colore violaceo: si è già detto che queste sono tagliate al centro della grande pianta di carciofo (una “castraura per ogni pianta), che continua però a produrre 18 carciofi o più nel corso della stagione.

Ecco spiegato perché questi carciofi di prima fioritura sono così rari e attesi con grande trepidazione dai buongustai tra la fine di marzo e la prima settimana di aprile.

Come gustarlo: certamente il modo migliore, per ritrovare quella gamma pressoché infinità di gusti è crudo, leggermente intinto in un poco di olio e sale e pepe oppure tagliato a julienne, magari come accompagnamento ad una “capasanta” leggermente gratinata.

Oppure al forno, o in padella, alla fiamma, facendo attenzione a non abusare di aglio e prezzemolo, che ne sovrasterebbero il sapore. Castratre fotoStrano destino quello del carciofo: anche se questo frutto si diffonde lungo tutto il XVI secolo, è praticamente assente sui libri di cucina di quell’epoca, anche se ancora nel 1614, Giacomo Castelvetro, esule e lontano dalla sua patria, nello scrivere il libricino “Breve racconto di tutte le erbe e tutta la frutta che cruda e cotta in Italia si mangia”, così si esprime sul carciofo: “soltanto a scriverlo fa venire l’acquolina in bocca”, e più avanti “…..si tratta di un ghiotto mangiare”.

Si spinge un poco in là, e consiglia di accompagnarlo con un succo di arance, che ne mette in risalto il gusto, leggermente amarognolo. Un discorso a parte merita il vino: quale abbinamento suggerire con il carciofo, soprattutto se crudo, considerata la notevole quantità di sali minerali, tra i quali il ferro, che lasciano sul nostro palato una sensazione amarognola?

Un vino bianco, leggermente ripassato in rovere, oppure, come consigliano i puristi, della semplice acqua, meglio non gassata, perché anche l’anidride carbonica ha un potere esaltante delle parti dure.

Per finire, Domenico Romoli, detto il “Panonto”, nel libro “Singolar dottrina”, illustra con dovizia di particolari una qualità del carciofo, ossia la “calidità”, perchè scrive il Romolo, “questi riscalda in modo particolare i sensi, l’eros, il desiderio”.

Sarà per la sua forma rotondeggiante e carnosa che ci rimanda a quella della ninfa, tanto amata da Giove, che Costanzo Felici nella lettera indirizzata a Ulisse Aldobrandi, scrive, nella seconda metà del XVI secolo: “gli articiochi servono sì alla gola, ma molto più volentieri a quelli che si dilettano a servire madonna Venere!” Speriamo bene.

RICETTA

Castraure impanae e fritte.

Private delle foglie più esterne tagliate a metà e immerse nell’uovo sbattuto e nella farina. Passate sul pane grattuggiato e quindi fritte in olio di oliva e di semi. Salate e servite calde: possibilmente mangiate con le mani.

Castraure crue, par antipasto.

Si mangiano crude, foglia per foglia, intinte in olio, sale e pepe.

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La redazione "The Liquid Press"

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